Le video interviste di Francesco Perrone
Tra il 2000 e il 2010, Francesco Perrone ha realizzato una serie di video interviste oggi conservate presso l’Archivio storico della biblioteca comunale di Bagnolo Piemonte. Perrone, ormai pensionato, decise di unire la passione per il cinema all’interesse per la storia del suo territorio e, dopo aver frequentato i corsi della Scuola Holden a Torino per migliorare la propria tecnica di ripresa e montaggio, intraprese un lavoro di scavo e ricerca sul tema della Resistenza nel Piemonte occidentale.
L’idea dell’Autore era infatti quella di dare luogo a un corpus filmico (solo le registrazioni dedicate a Barge sono più di venti), che, attraverso la voce dei protagonisti della Resistenza, fosse in grado di testimoniare e descrivere accuratamente i venti mesi della Lotta di Liberazione. Il grande vantaggio di poter ascoltare la voce e osservare le espressioni di coloro che hanno combattuto per la libertà risiede nella percezione dell’aspetto emotivo legato al ricordo di quegli anni, lato che è più difficile cogliere nella scrittura frammentata delle cronache e degli epistolari. Inoltre, la spontaneità con cui Perrone riuscì a condurre le interviste permise ai Partigiani di intraprendere excursus molto interessanti, da cui sono emersi dettagli fondamentali.
In seguito si riporta l’elenco dei personaggi intervistati con un breve frammento della loro testimonianza, leggibile per intero nei file allegati.

Maria Airaudo
«È stata una guerra di liberazione ed è stata una guerra che l’abbiamo combattuta nel nostro piccolo noi, come donne, come uomini, come popolazione e come tutto e nel nostro miglior modo: ospitando, aiutando, facendo in tutti i modi. Penso che sia stata così. Sinceramente, non tutte le porte si aprivano, ma dove si sono aperte, per i partigiani che meritavano l’apertura delle porte, i partigiani si sono comporti in un modo meraviglioso, da veri uomini di dignità e rispetto» [https://terreresistenti.it/allegati/Maria_Airaudo.pdf]

Matteo Albertengo
«Arrivati su a Montoso abbiamo trovato uno, un partigiano. Ci ha portato su al distretto. Arrivati là, abbiamo trovato tutti i partigiani e ci hanno chiesto se volevamo fermarci. Allora ci hanno fatto passare in ufficio, uno per uno, e chiedevano nome, cognome, maternità, paternità e poi dicevano: “Con quale nome vuoi chiamarti? Perché da oggi in poi il tuo vero nome sparisce e allora avrai un nome di battaglia”. Io non sapevo. Loro mi hanno detto che era indifferente, che poteva essere un nome di mare, di montagna, di paese. Ho detto: “A me mettete il nome Roma!”» [https://terreresistenti.it/allegati/Matteo_Albertengo.pdf]

Caterina Arezzo
«Il giorno di Sforzini, poi alla fine mi hanno presa e mi hanno caricata su un camion. Era il 21 dicembre. Mi hanno caricata e mi hanno portata a Torino, in Corso Vittorio alle Nuove. Quando sono stata alle Nuove, c’era una suoretta piccolina che ha aperto il portone al camion dei tedeschi e ci ha nascosto in due o tre dietro al portone. Quando il camion è entrato dentro al cortile, questa suora ci ha fatto uscire, ci ha fatto scappare. Così abbiamo preso da Corso Ferrucci e siamo scappati. Con me c’erano due di Pinerolo che non ho mai saputo chi fossero» [https://terreresistenti.it/allegati/Caterina_Arezzo.pdf]

Piero Baravaglio
«Arrivato l’8 settembre, noi eravamo in piazza quando abbiamo sentito l’annuncio di Badoglio. Diceva: “La Guerra è finita! Abbiamo firmato la resa incondizionata, ma da oggi si combatte comunque perché inizia la Guerra contro i tedeschi”. Allora noi siamo scappati perché gli ufficiali erano già andati tutti via con i loro vestiti borghesi, mentre noi non avevamo niente. Le donne di Montalcino ci hanno preso tutte le tende nostre e ci hanno fatto dei pantaloncini così almeno potevamo scappare con quelli» [https://terreresistenti.it/allegati/Piero_Baravaglio.pdf]

Giuseppe Biglione
«Sono arrivato a Montoso alla fine di ottobre del 1943. Ero a Pinerolo nei vigili dei fuochi ed è arrivato l’ordine di dare le dimissioni per andare a fare i militari, ma, dato che noi di famiglia eravamo piuttosto contrari, sono partito con altri due e in tre siamo venuti su. Siamo arrivati a Barge, dove c’era una staffetta che ci ha portati su. Lì c’erano Cristina e Marisa. Lì abbiamo curato Zama, quando era stato ferito. Era stato il comandante Di Nanni ad andare a prenderlo a Saluzzo e a riportarlo in montagna. Lì abbiamo avuto un primo rastrellamento». [https://terreresistenti.it/allegati/Giuseppe_Biglione.pdf]

Felice Luigi Burdino
«In questi venti mesi, queste creature hanno fatto delle cose strabilianti. Senza mai chiedere niente. E l’han fatto senza una ragione politica: la maggior parte non sapeva neanche dov’era esattamente la Russia e chi erano gli alleati. L’hanno fatto per un motivo esclusivamente umano, o se volete salire un po’ più su, morale. Con una intuizione importante che è consistita nel capire chi erano gli uni – tedeschi, fascisti e brigate nere – e chi erano gli altri. E han scelto non perché la nostra parte si pensava fosse poi vincitrice, ma perché, pur qualche volta compiendo qualche ingiustizia, eravamo un po’ più nella giustizia. In questi ultimi anni, presento la Resistenza nelle scuole di Pinerolo e una volta una ragazza intelligente mi disse: “Lei, facendo quello che ha fatto, pensava di essere dalla parte della giustizia?”. Le ho risposto: “Guardi fanciulla, la giustizia è una cosa molto complessa. Pensavo però di essere dalla parte di minor ingiustizia, cioè dalla parte dove c’era un po’ più di giustizia o di speranza di giustizia» [https://terreresistenti.it/allegati/Felice_Burdino.pdfhttps://terreresistenti.it/allegati/Felice_Burdino.pdf]

Maria Carle
«Con mio marito ci conoscevamo già dall’asilo. Un mattino sono arrivati i tedeschi e l’hanno preso nel letto. Sia lui che suo fratello Vitale, e li hanno portati a Torino, alle Casermette. Li hanno tenuti giù 10 giorni e poi, forse, probabilmente per intercessione del podestà Fiandino, che è intervenuto in loro favore, li hanno liberati e rimandati a casa. Quando sono arrivati a casa, mio marito è partito, è andato in montagna tra i partigiani perché non voleva tentare la sorte una seconda volta» [https://terreresistenti.it/allegati/Maria_Carle.pdf]

Michele Carle
«L’hanno preso a Sant’Antonio di Cavour. Lui faceva la staffetta, portava il dottore di Luserna, che hanno poi anche ammazzato, a trovare un malato partigiano in una casa lì vicino. Anche un altro era insieme a loro, che probabilmente era un fascista andato nei partigiani per portarli dove potessero essere presi. Perché proprio quello non è stato preso, mentre il dottore l’hanno portato e poi ammazzato a Scalenghe e mio fratello qui» [https://terreresistenti.it/allegati/Michele_Carle.pdf]

Marisa Diena
«Noi, l’11 settembre partimmo per Torre Pellice perché a Torre Pellice si riuniva l’esecutivo del Partito d’azione con i suoi maggiori esponenti: Giorgio Agosti, Franco Venturi, poi lì a Torre c’erano i fratelli Rogliè, Venier. Mio fratello, il più piccolo – mentre il più grande aveva organizzato parecchi giovani nel Partito d’Azione, quindi sarebbe poi venuto a Torino – andò a Barge e poi, ci andai anche io, dove si erano riuniti i comunisti, nella casa del Professor Geymonat che era un po’ il centro» [https://terreresistenti.it/allegati/Marisa_Diena.pdfhttps://terreresistenti.it/allegati/Marisa_Diena.pdf]

Nunzio Di Francesco
«Erano i primi di maggio e ricordo che fecero una grande selezione. Ricordo che la maggior parte erano ebrei ed erano contenti perché dicevano che avrebbero dovuto rimandarli in Palestina. Invece, quando siamo ritornati, erano tutti morti. Non hanno avuto il tempo materiale per essere bruciati perché i forni non ce la facevano più. C’erano i morti a montagne. Noi siamo stati due o tre giorni senza lavorare, ma ci portavano comunque nel campo a mettere le cose a posto. Poi il 4 o il 5 maggio, ci siamo accorti che non c’era la solita SS che bruciava il materiale» [https://terreresistenti.it/allegati/Nunzio_di_Francesco.pdfhttps://terreresistenti.it/allegati/Nunzio_di_Francesco.pdf]

Dino Ferrarini
«Torniamo indietro all’8 settembre. Ero a Mantova che portavo fuori la verdura perché mio papà faceva il fruttivendolo e io portavo la spesa a casa della gente. Ricordo che ero passato davanti alla Stazione e avevo visto una fila lunga di prigionieri. Dico: “Meno male che hanno catturato qualche prigioniero”. Ma cavolo: erano italiani! Due tedeschi per cento prigionieri italiani. Dico allora: “Aspetta, aspetta che voglio vedere dove li portano”. Un sergente mi chiede la bici. Io non gliela voglio lasciare perché la bici è mia, ma mi punta la pistola e sono costretto a lasciarla» [https://terreresistenti.it/allegati/Dino_Ferrarini.pdf]

Pietro Giachero
«Il mio nome è Giachero Pietro. Sono nato a Luserna San Giovanni il 3 aprile 1926. L’8 settembre 1943 è una giornata che mi ha toccato profondamente perché mi trovavo qui in paese e c’era un forte distaccamento degli alpini, che stavano per la buona parte in montagna, dove avevano organizzato dei raggruppamenti non organizzati. C’erano anche parecchi meridionali: questi, non potendo andare a casa, si sono sistemati in montagna e sono stati aiutati dalla popolazione, che in seguito ci ha mostrato una forte assistenza nelle fasi principali della lotta che abbiamo intrapreso» [https://terreresistenti.it/allegati/Pietro_Giachero.pdf]

Antonio Giolitti
«Il mio ruolo? E il mio ruolo io non me lo ricordo con precisione all’inizio perché all’inizio le formazioni non erano ben definite. Indiscutibilmente c’era il comandante che era Barbato, Barbato che era il più anziano e anche come grado militare. Poi insieme a lui c’erano altri ufficiali di prima nomina che sono venuti su allora con noi. Poi una volta che cominciarono a prendere forma le formazioni, allora cominciò a definirsi il ruolo che non avevamo ancora immaginato, ma che ci venne poi consigliato da Torino, il ruolo di commissario politico delle formazioni Garibaldi» [https://terreresistenti.it/allegati/Antonio_Giolitti.pdf]

Vincenzo Grimaldi
«Io mi trovavo l’8 settembre a Cavour, nel gruppo di cavalleria corazzato. Ero della scuola di Pinerolo ed ero lì insieme al comandante Barbato, a Petralia, a Nanni Latilla e ad altri ufficiali. Mentre tutti gli altri che abitavano nel centro nord dopo l’8 settembre si vestirono in borghese e cercarono di raggiungere le loro case, i siciliani e i calabresi non poterono fare la stessa cosa perché gli anglo-americani avevano già occupato la Sicilia ed erano arrivati fino a Napoli in poco più di un mese. Quindi noi credevamo che in un altro mese arrivassero fino a Torino» [https://terreresistenti.it/allegati/Vincenzo_Grimaldi.pdf]

Raimondo Luraghi
«Mi dissero quindi che potevo andare in Val Pellice, dove c’erano le formazioni di Giustizia e Libertà. Io sapevo però che lì vicino c’era anche una formazione garibaldina e io preferivo i garibaldini perché di Giustizia e Libertà mi irritava un pochino il settarismo militarista. Presso i garibaldini, invece, c’era molta più serietà, c’era molta più disciplina e allora mi fecero passare con i garibaldini di Petralia. All’epoca non si parlava ancora di Barbato. Barbato era il comandante di Brigata, ma il territorio del Montoso lo comandava Petralia» [https://terreresistenti.it/allegati/Raimondo_Luraghi.pdf]

Mario Mauro
«Io finii stranamente in montagna per essere coinvolto l’8 settembre a causa della necessità che i militari avevano di trovare una soluzione al loro problema. Vivendo infatti a San Secondo, con i militari che vivevano nei pressi di San Secondo, andai su a Prarostino a portare i camion e le armi. Nacque così la mia vita partigiana. Mi mancavano quaranta giorni ad avere 17 anni ed ero un semplice ragazzo del regime che aveva sofferto l’inferno del conflitto che il fascismo aveva prodotto negli ultimi tre anni, entrando a far parte del secondo conflitto mondiale» [https://terreresistenti.it/allegati/Mario_Mauro.pdf]

Enzo Minichini
«E così l’attacco è stato fatto bene. Guidato da Balestrieri con cervello. Egli si è preoccupato di salvare noi, questo era l’obiettivo! Erano andati a passo di carica, a piedi, mica motorizzati. È un qualcosa di più: un legame che si stringe per la vita. A un certo punto si affaccia e parla dal camion. Lui dice: “Cume fuma?”. Io allora rispondo: “Buttalo giù!”. Eravamo molto sereni. Lì l’ha buttato giù e ci hanno sfilati e cessato il fuoco ci hanno portati via. Balestrieri c’era di sicuro e poi altri» [https://terreresistenti.it/allegati/Enzo_Minichini.pdf]

Vincenzo Modica
«Il Generale Trabucchi prende il comando del C. L. N. P. e mi chiama e mi dice: “Lei deve essere l’alfiere”. Io effettivamente ho detto: “Senta, ma io voglio sfilare insieme ai miei partigiani”. Io avevo già organizzato la mia divisione in modo che potesse essere inquadrata perfetta e disciplinata. Avevo quasi tremila ragazzi pronti per sfilare. Barbato mi chiama e mi dice: “Guarda, tu devi accettare di sfilare perché hai anche questa figura di rappresentare l’unità della Resistenza tra nord e sud”» [https://terreresistenti.it/allegati/Vincenzo_Modica.pdf]

Bruno Pasquali
«Io subito il 9 o il 10, uno dei primi giorni dopo l’armistizio, prendo su il mio tubo di alluminio dove mettevamo i lucidi e vado al Lingotto con il tram. Mentre faccio ste copie, c’era un tizio che mi dice: “Sei andato sopra? Non c’è più nessuno! I tedeschi sono andati via”. Io vado su e porca miseria vedo una mitragliatrice russa, un fucile mitragliatore da 45 colpi lì abbandonato: l’ho preso e me lo sono portato sotto» [https://terreresistenti.it/allegati/Bruno_Pasquali.pdf]

Aldo Pilone
«Io non volevo essere un vigliacco e sono partito. Mi ha accompagnato un nostro compagno, Pietro Massa. Una volta arrivati a Bricherasio, c’erano i binari saltati della ferrovia che andava a Barge e allora abbiamo dovuto scendere e fare il trasbordo. Poi lì c’erano i soldati delle SS, i tedeschi, questo mio amico Pietro impallidisce. Allora gli dico: “Cos’hai?”. “Ho una pistola nella valigia”. Se gliela avessero trovata sarebbe stata la fine per tutti e due naturalmente. Poi però siamo riusciti ad arrivare a Barge e siamo andati su. Era l’8 marzo del 1944» [https://terreresistenti.it/allegati/Aldo_Pilone.pdf]

Plinio Pinna Pintor
«Sono nato il 25 giugno 1921, abito a Torino. Ho fatto il partigiano dai primi giorni di ottobre del ‘44 fino alla Liberazione. Come sono andato in montagna? Dopo un anno di attività clandestina – distribuzione dei volantini, organizzazione di azioni dei giovani del Fronte della Gioventù, di cui ero in parte responsabile, reclutamento per l’invio di giovani nelle formazioni partigiane dalla città, lezioni in università – per colpa di una spia di Corso Rimondi, veniamo avvistati dalla polizia: alcuni dei miei compagni vengono arrestati, mentre io miracolosamente sfuggo all’arresto» [https://terreresistenti.it/allegati/Plinio_Pinna_Pintor.pdf]